L’articolo integrale pubblicato su Officina del Vespista n°64.
Con questo articolo revisioniamo e correggiamo, ampliando, quanto scritto in precedenza su questo sito a proposito del grande lambrettista Cesare BATTAGLINI.
Il mondo della Vespa, sia con il supporto della Piaggio che senza, ha partorito molti piloti e raider degni di nota. Infatti come non citare Giuseppe Cau per fare un esempio legato alla sfera sportiva, o Giorgio Bettinelli per quanto riguarda l’ambito avventuriero e turistico, o ancora Markus Mayer detentore di varie imprese da record, anche se i puristi potrebbero obiettare. Tre nomi che non vogliono certo esaurire l’elenco, nel quale bisogna ormai annoverare a pieno diritto anche Ilario Lavarra, che dal 2017 ad oggi ha compiuto un terzo del viaggio del mondo in vespa che aveva programmato e i 150.000 km preventivati all’inizio sono stati belli che superati da un pezzo.
Ilario viaggia ora, in questo momento, e giustamente si avvale di tutto quanto i social network possano mettergli a disposizione per rendere nota la sua impresa e trovare aiuto, oltre che tutto quanto la tecnologia moderna possa offrirgli per facilitare e rendere più sicuro il suo Grand Tour. Questo sminuisce la sua impresa? Non credo. Certamente possiamo però affermare che chi ha compiuto queste gesta in passato, sicuramente ha trovato difficoltà maggiori.
Una sera di qualche anno fa, in un pub con gli amici Duchi Estensi, scooter club di Ferrara, tra la birra uscì il nome di un tal Cesare Battaglini, il quale accese la mia curiosità e con mio sommo stupore di scooterista in erba, scoprii essere il più grande lambrettista esistito.
Cesare Battaglini nato a Castiglione delle Stiviere il 12 giugno 1928, è senza dubbio uno dei veri precursori dei globetrotter in sella ad uno scooter. Cesare partecipò alle prime due edizione del concorso “10.000 km e oltre in Lambretta”, indetto dalla Innocenti per promuovere il proprio prodotto, perdendo per cavilli la prima edizione e stravincendo invece la seconda. Della partecipazione al primo concorso che lo portò in solitaria da Bologna a Colombo, nell’odierno Sri Lanka, Cesare realizzò un interessante diario di viaggio che è stato il mio punto di partenza per approfondire meglio la sua conoscenza, grazie all’amico Fabio Cofferati. Oltre a questo diario intitolato “Ceylon, India, Oriente misterioso ed Africa esplorati col mio scooter”, Battaglini non ha mai trovato il tempo (o forse non ha mai voluto) per lasciare una ulteriore testimonianza scritta dei suoi 160.000 km intorno al mondo. Un vero peccato a cui, qualche anno fa Paolo Corrà, assieme a Mauro Galli, hanno cercato di porre rimedio scavando fra gli archivi di Battaglini su input della moglie Didi, per dare alle stampe in edizione limitata il libro “Cesare Battaglini: cittadino del mondo”.
Leggendo il diario scritto in prima persona da Cesare, la prima impressione che ho avuto è che al giorno d’oggi sarebbe assolutamente scorretto, politicamente scorretto, come si suol dire. Il giovane Battaglini ventiseienne è duramente colpito dalla arretratezza in cui versava all’epoca il mondo arabo e il suo giudizio è etnicamente impietoso. Un’altra cosa che traspare evidente è che nonostante la sua caparbietà e la sua forza d’animo, viaggiare in solitaria è una cosa che non fa per lui e infatti non lo farà mai più se non per brevi tratti obbligato dalle circostanze. Infine posso ipotizzare con poca o affatto paura di essere smentito, che la cosa che ha odiato di più nel suo primo viaggio furono le vacche sacre che occupavano la sede stradale indiana, causa per ben due volte di cadute, e che la cosa che invece aveva più a cuore era la sua mamma a casa, tanto da dedicarle poi il diario.
“Alla memoria
della mia indimenticabile mamma
che tanto penò
nell’attesa del mio ritorno
ed a tutte le mamme
che hanno i figli lontani
dedico queste pagine”
Tra il 1956 ed il 1959 Battaglini percorse dunque circa 160.000 km in giro per il mondo a bordo di una Lambretta 150 D, preparata per lo scopo con una forcella F e un serbatoio supplementare. Il secondo viaggio era stato pianificato per durare solo due anni, ma una volta in ballo la meta divenne meno importante del percorso e delle soste, un po’ come abbiamo apprezzato anche nella parte africana del tour di Ilario, diventando un giro del mondo a tutti gli effetti. Aiutato da Michelin e Magneti Marelli, questo secondo tour vide la presenza di vari accompagnatori. Alla partenza infatti erano con lui due ragazze, anch’esse in sella a identiche lambrette, di nazionalità tedesca e olandese. Purtroppo Rita Van de Weerd, la ragazza olandese, dovette abbandonare l’impresa “abbastanza presto” in India, ufficialmente a causa della Febbre Gialla, mentre la seconda, Felicitas Hauck, lo accompagnò fino all’arrivo a Panama. Ora, voglio puntualizzare, arrivare in India è comunque una gran cosa, tanto di cappello. Leggendo fra le righe però, a chiunque verrebbe in mente che, se due ragazze negli anni 50 accettano di accompagnare una persona in un viaggio così impegnativo, certo devono essere affascinate da quest’ultimo. E infatti, leggendo gli articoli di giornale e gli appunti, per Felicitas Cesare ad un certo punto diventa “il mio fidanzato” ed è perciò facile ipotizzare che, forse, Rita si sia sentita di troppo. La ragazza tedesca, contro ogni aspettativa arrivò nientemeno che fino a Panama senza particolari problemi. La spiegazione del perché di punto in bianco lei abbia parcheggiato la sua lambretta all’ambasciata italiana e se ne sia tornata in Europa mi ha lasciato una certa curiosità “gossippara”. Ho perciò interpellato Mauro Galli, che ha aiutato nel riordinare i tanti ricordi accumulati da Battaglini, il quale mi ha spiegato alcune cose interessanti, ma ne riparleremo.
Eravamo rimasti a Cesare in Sud America. Rimasto solo, manda un messaggio all’amico Glauco Ferrante, il quale senza pensarci troppo lo raggiunge e lo aspetta due mesi in Argentina. Una volta ricongiunti Glauco diventa nientemeno che il suo passeggero e, con un Lambretta carica come due muli, percorrono qualche migliaio di km fino a quando a Glauco non viene donato dalla Siambretta (licenziataria Innocenti in Argentina) un Lambrettino di 48cc, il cosiddetto lambrettino del Prete. Finalmente entrambi motorizzati, percorrono tutta l’Argentina riscuotendo enorme plauso da tutta la comunità, grazie all’eco dei giornali. Bisogna naturalmente considerare il fatto che le comunità italiane in sudamerica all’epoca erano davvero numerose. A questo punto sarebbe il caso di far notare quanto la Innocenti trasse vantaggio (e a onor del vero glielo riconobbe) dalla pubblicità che Battaglini gli fece in tutti i luoghi che attraversò. Io credo che questo genere di mezzo propagandistico potrebbe essere ancora attuale. Successivamente Cesare e Glauco attraversarono il Brasile, dove quest’ultimo ebbe in dotazione una Lambretta con rimorchio da usare su territorio carioca. Di questo percorso mi hanno colpito gli appunti di Cesare a bordo della chiatta a vapore sulla quale furono entrambi passeggeri per lunghissimi e interminabili giorni sul Rio San Francisco, in mezzo alla variegata folla di persone e animali a bordo con loro. Nel suo racconto depresso e alienante ho trovato ampi tratti di comunanza con quello di Stefano Medvedich sulla piattaforma Victoria lungo il fiume Congo. Trovo sempre interessante questi parallelismi che, in epoche e luoghi differenti, portano le persone a reagire in modo così simile.
Battaglini e Ferrante abbandonano infine il Brasile per proseguire il loro viaggio verso Nord in nave, per giungere nuovamente a Panama dove Glauco prende finalmente possesso della Lambretta gemella che fu di Felicitas. Già, ma perchè Felicitas abbandonò il viaggio? Pare che tra lei e Cesare fosse nata una relazione, come abbiamo già detto, e che un motivo serio la avesse guastata, tanto che Cesare non la volle più vedere. Nella loro risalita, al confine tra Nicaragua e Honduras, Glauco e Cesare incontrano Giorgio Amoretti, giramondo veneto dalla “folta barba rossiccia, occhi chiarissimi, risata aperta del veneto che parla solo il suo dialetto, simpatia irresisitibile, arriva dall’Alaska ed è diretto alla Terra del Fuoco” (ne scrive Ferrante) anch’egli su Lambretta e probabilmente altro personaggio da conoscere per noi che viviamo quasi 70 anni dopo. Tra aprile e giugno 1959 la grande amicizia tra Cesare e Glauco forse si incrina, perché Ferrante decide di abbandonare il viaggio. Ma dopo poco, a San Francisco, Battaglini trova il quarto compagno di viaggio, Frank Lazorchik, anche se ormai manca “solo” da attraversare gli Stati Uniti, per terminare il viaggio poi in Canada e fare rientro in Europa, tempo che Battaglini quantifica in circa tre mesi. Purtroppo però le cose non vanno proprio secondo i piani di Cesare perché Frank, che non ha assolto gli obblighi di leva, non può espatriare. Chi finirà il viaggio con il nostro eroe? Ma due donne naturalmente, Miriam Frizarry e Norma Jane Edgar, conosciute solo pochi giorni prima e che voleranno in Italia mentre Cesare attraversa l’Atlantico sul piroscafo Tarin.
Cesare Battaglini a detta di chi lo ha conosciuto, fu una persona anticonformista. Grazie al suo innato spirito di adattamento, anche dove non conosceva la lingua, eccelleva comunque nella ricerca di cibo e della compagnia femminile, tanto da lasciare (solo in Italia), 4 figli di cui uno concepito all’interno del matrimonio con la donna che ha poi amato tutta la vita, ovvero Maria Sabbadini detta Didi. Sempre Mauro Galli ci racconta che dopo il giro del mondo Cesare dovette allontanarsi nuovamente dall’Italia, per sistemare alcuni affari che aveva intrapreso durante il suo viaggio. Dopo aver conosciuto Didi, le diede un appuntamento in un luogo preciso da lì a sei mesi. Didi rispettò la promessa e in quel momento Cesare decise che sarebbe stata sua moglie.
Cesare in Italia continuò ad utilizzare la Lambretta come mezzo di aggregazione. Grazie ai suoi titoli accademici in economia e in lingue straniere, fu in grado di essere d’aiuto a tante persone e soprattutto fu un leader risoluto sia all’interno del Lambretta Club Emilia Romagna, sia in ambito nazionale e internazionale, partecipando a tanti raduni in giro per l’Europa ed organizzando raid in prima persona. Il suo fu un lambrettismo minimale, in cui la parola d’ordine era far spendere il meno possibile ai suoi compagni, magari rimettendoci anche di tasca propria, perchè lui era il Presidente, e adeguando sempre l’andatura al più lento. Per cui i suoi raid erano all’insegna del campeggio e dei grandi piatti di pasta per tutti, apprezzati anche dagli stranieri, cucinati da Didi che seguiva la comitiva con la loro Fiat Uno e ad ogni pausa era in grado di sfoderare la moka della dimensione giusta per servire un sorso di caffè ad ognuno. La sua visione del lambrettismo lo portò a fondare il World Lambretta Club, per riunire tutti i gruppi ed i club che si ritrovavano nella sua filosofia, spesso in contrapposizione con il neonato Lambretta Club d’Italia, che portava avanti istanze più elitarie.
Cesare Battaglini muore all’età di 84 anni il 3 ottobre 2011, senza mai avere smesso di usare la sua Lambretta. Presidente del Lambretta Club Emilia Romagna fino all’ultimo e sempre con piglio deciso ed autoritario, prendendo anche decisioni scomode o invise ad alcuni, mettendoci sempre la faccia e quasi sempre avendo la ragione dalla sua.
Come ha avuto modo di precisare il mio amico Fabio Cofferati, la lambretta del viaggio è stata prestata al museo della scienza e della tecnica di Milano molti anni fa. Negli ultimi anni fu reclamata da Battaglini stesso, ma un accordo verbale, come si usava in altri tempi, con l’allora direttore del museo, ha fatto restare in quel luogo la lambretta. Essa vi fu portata da Cesare in persona, il quale, dovendo andare “solo” da Bologna a Milano, tolse il serbatoio supplementare, che infatti si trova ancora nello scantinato di casa sua, con tanto di miscela.
Alla sua morte nel 2011, gli fu dedicato un intero notiziario del World Lambretta Club. Da questo prezioso documento composto dalle righe che gli amici hanno voluto dedicargli, emerge il ritratto del Battaglini marito e Presidente del Lambretta Club Emilia Romagna.
“Con Cesare siamo stati sempre tutti benissimo.” Franco Balboni.
“..ricordo che ci ospitò tutti nella sua villa di Cesenatico, eravamo più di una ventina di persone … non voleva che si andasse a spendere soldi al ristorante, insomma si preoccupava di farci risparmiare” Antonio Biccari.
“.. la sua ospitalità era rivolta a tutti, ma in particolare alle “facce nuove” come noi” Andrea Mezzini.
“Bisognerebbe chiederlo a Franchini Enrico che sempre in Francia, in una sera da lupi, entra in un paesino e si trova una tenda igloo montata su una aiuola spartitraffico con a fianco parcheggiata una LI 2^ serie.. Secondo voi chi era??” Orietta Ferretti e Giancarlo Valla.